Canton Marittimo: le Domande Frequenti - FAQ

Com'è nata l'idea dell'adesione alla Svizzera?

L'idea nasce per proporre ai sardi e alla Sardegna un percorso unitario verso la prosperità, raggiungibile attraverso l'efficienza amministrativa e la corretta valorizzazione delle potenzialità del nostro territorio.

L'insularità e una forte cultura identitaria hanno sempre tenuto vivo lo spirito indipendentista del popolo sardo che, in un periodo di grande incertezza come quello attuale, è sempre più sentito.

Crediamo che il renderci indipendenti e responsabili del nostro destino sia un obiettivo che possa mettere d'accordo tutta la popolazione della Sardegna.

Una volta raggiunta l’indipendenza, la prima cosa da ricostruire da zero sarà il sistema politico-amministrativo acquisito dall'Italia che, in tanti anni, ha dimostrato senza attenuanti di non funzionare.

La mancanza di esperienza in termini di autonomia amministrativa e l'eredità che rimarrebbe di quella gestione inefficace e malsana che la Sardegna ha avuto sinora, ci impone di riflettere sull'opportunità di affidarci ad un partner esperto che ci possa guidare verso un'organizzazione efficace, efficiente e matura.

Questo partner a nostro avviso é la Confederazione Elvetica, la nazione che, avendo il più alto rispetto delle culture identitarie e dell'autonomia politica ed amministrativa dei suoi membri confederati, è l’unico interlocutore possibile per un popolo come quello sardo.

 

Perché non una Sardegna indipendente, senza legami amministrativi con altre nazioni? 

La spinta indipendentista in Sardegna ha sempre ipotizzato una condizione di indipendenza assoluta, con un'economia interna autonoma, una zecca che battesse moneta e una completa sovranità su se stessa. 

Siamo convinti che ciò rappresenti una strada troppo complicata se non impossibile da percorrere.

L'eredità di un secolo e mezzo di appartenenza all'Italia rappresenta un retaggio che sarebbe complicatissimo da eliminare, sopratutto per quanto riguarda i vizi del sistema politico e amministrativo.

L'adozione di un modello come quello elvetico in sostituzione di quello italiano sarebbe possibile soltanto affidandosi per un tutoraggio a chi quel modello lo conosce, lo applica e lo affina da svariati secoli.

Sarebbe impensabile riformare da zero quel sistema politico all'italiana e i suoi protagonisti locali, così come il sistema amministrativo-burocratico attuale coi suoi rappresentanti, senza un vigoroso appoggio da parte di chi può guidarci verso l'ottimizzazione delle risorse, così da favorire una ridistribuzione del lavoro senza troppe incognite, quelle che inevitabilmente si verrebbero a creare a causa del compito impossibile di gestire tutte le pressioni individuali e di categoria, assolutamente ingestibili in assenza di un arbitro neutrale.

L'eventuale appartenenza a una nazione confederata, con una valuta solida, una politica di perequazione finanziaria inizialmente indispensabile e la partnership degli stati già confederati, offrirebbe ai sardi maggiori garanzie per un percorso verso un assetto stabile, base irrinunciabile per la prosperità.

Insomma, a nostro parere un esperimento di indipendenza senza tutoraggio sarebbe destinato al fallimento.

 

Cosa ne pensano i cittadini? 

Non appena ha ricevuto visibilità sui media, la nostra proposta ha risvegliato l'interesse di tantissime persone sia in Sardegna che in Svizzera.

Nella nostra isola, una crisi politico-economica con importanti risvolti sociali ha rafforzato la completa sfiducia nelle istituzioni e nell'apparato amministrativo.

In tantissimi manifestano entusiasmo se non addirittura impazienza nel desiderare che il progetto si concretizzi in tempi brevissimi, non considerando che, come la storia insegna, le profonde trasformazioni come questa sono complicate e richiedono tempi lunghi.

Ovviamente non mancano il dissenso né le risposte divertite di chi pensa che questa sia una burla; una conseguenza comprensibile, considerando che é insito nell'animo umano dubitare che possano realizzarsi eventi socio-politici fuori dalle normative statali.

La storia invece è piena di testimonianze in questo senso.

 

Esiste un sondaggio online che esprima la volontà dei cittadini coinvolti?

Esiste una petizione online di sensibilizzazione popolare, rivolta sia ai sardi che agli svizzeri, per sondare concretamente il sentimento di entrambi in merito alla proposta.

Seguirà una raccolta di firme sul territorio sardo per sviluppare delle richieste precise, secondo un iter democratico.

Siamo pacifisti, apolitici, tolleranti e non violenti e crediamo fortemente in un processo di autoaffermazione democratica delle volontà della popolazione.

 

Perché il nome Canton Marittimo e non Canton o Cantone Sardegna?  

Perché modificare la bandiera sarda dei quattro mori? 

Il nome Canton Marittimo è stato scelto per creare una suggestione e perché ci sembrava adatto a provocare quella curiosità che avrebbe permesso al progetto di acquisire rapidamente visibilità.

la Svizzera è composta di Cantoni, nessuno dei quali con sbocco al mare, poteva incuriosirsi per il suo primo, potenziale, Canton Marittimo... 

Stesso discorso per il simbolo scelto per rappresentare il progetto. 

La bandiera confederale elvetica e la bandiera della Sardegna hanno simbologie similissime. E' stato intuitivo mescolarle per avere un effetto di semplice e rapida presa.

Con questa scelta abbiamo creato un simbolo, un logo rappresentativo di un idea per stimolare la partecipazione e la curiosità, non intendiamo vilipendere niente e nessuno, né proporre un nuovo stendardo per la Sardegna.

Nella complessa ipotesi che il progetto giunga al fine per cui nasce, la denominazione della nuova repubblica indipendente di Sardegna sarà dibattuta e scelta democraticamente, ammesso che nell'ottica di un'eventuale adesione alla Svizzera non si delinei l'opportunità di frazionare la l'isola e il suo popolo in più di un Cantone, sulla base delle ulteriori identità zonali a cui è riconducibile il popolo sardo.

 

Qual'è la reale fattibilità del progetto CANTON MARITTIMO nel contesto dell'ordinamento giuridico e costituzionale italiano?

L'articolo 5 della costituzione italiana dice chiaramente:

"La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento".

Su queste basi non esisterebbe alcun percorso normativo che permetterebbe la fattibilità giuridica del progetto, sebbene un gruppo di giuristi stiano comunque lavorando alle possibili interpretazioni che possano  aprire nuovi spiragli.

Sappiamo  tuttavia che, storicamente, tutti quegli eventi socio-politici che hanno segnato la storia delle nazioni in maniera irreversibile, come anche le dichiarazioni di indipendenza di parti di territorio, non hanno mai seguito percorsi normativi ma sono stati il risultato dell'inequivocabile espressione della volontà popolare.   Eventi che nel passato sono stati in alcuni casi caratterizzati da violenza e spargimento di sangue, oggi in Europa con un modello evoluto di democrazia, riconosciuto e sostenuto dai governi di tutto il mondo occidentale, potrebbero percorrere un pacifico percorso di autodeterminazione. 

Se quindi  anche noi Sardi, come già gli Scozzesi, i Catalani, i Baschi , il popolo delle Fiandre, i Veneti e non ultimi i "russi" della Crimea, dovessimo trovare l'unità per procedere verso l'espressione democraticamente plebiscitaria  di indipendenza, l'Italia non potrebbe ignorarla, ma sarebbe invece costretta a prenderne atto, aprendo scenari oggi difficilmente immaginabili.

 

Qual'è il potenziale economico non sfruttato della Sardegna, a parte il turismo?

La nostra isola ha una superficie pari a più di metà della Svizzera e una popolazione di 1.600.000 abitanti circa, un milione dei quali è concentrato nei principali centri urbani, Cagliari, Sassari ed Olbia.

Questo la rende un'isola con una bassissima densità demografica (68,1 abitanti per kmq) in un territorio incontaminato, con più di 1.900 km di coste per lo più deserte.

La scommessa industriale è stata persa sia per scelte strategiche sbagliate imposteci dall’Italia, sia per i costi energetici altissimi e per quelli di trasporto proibitivi.

Tutti elementi che un'amministrazione capace saprebbe affrontare e risolvere con successo.

Esiste in Sardegna un comparto industriale non più operativo ma pronto all'uso, riconvertibile immediatamente verso settori produttivi redditizi.

Un'agricoltura, di nicchia ma molto produttiva, che risente pesantemente dei dettami nazionali e delle disposizioni europee che finiscono per concentrare gli sforzi degli operatori più verso l'ottenimento di sovvenzioni che verso una razionale organizzazione, anche nella forma cooperativa, per quell'eccellenza produttiva che territorio e clima consentirebbero.

Un'economia marittima, sia in ambito commerciale e dei trasporti che del diporto nautico, realtà già attive ma passibili di ulteriore sviluppo.

La riconversione di migliaia di fabbricati e strutture fatiscenti, pubbliche, militari e private, con l'ingresso di investitori e di capitali, darebbe ossigeno al comparto edilizio per anni e senza aggiungere un ulteriore metro cubo di cemento. Una volta riconvertite, queste strutture si presterebbero a innumerevoli utilizzi nei servizi produttivi: scuole, campus universitari, cliniche private, artigianato, centri sportivi, centri di aggregazione sociale e di servizi alla comunità, e si potrebbe andare avanti per ore.

Questi sono solo alcuni esempi per spiegare come, a nostro giudizio, la Sardegna possa diventare un potenziale eldorado che offrirebbe innumerevoli opportunità nel rispetto dell'ambiente e secondo un percorso virtuoso di economia sostenibile.

Ultimo ma non meno importante il turismo, che come veicolo di sviluppo economico ha una sua valenza peculiare legata alla nostra cultura identitaria.

Il territorio e le dinamiche esistenziali del popolo sardo, lontane da quell'ottica di produttività forsennata ai fini consumistici che ha reso l'offerta mondiale spesso tutta uguale, permettono al nostro comparto turistico di rappresentare un settore economico che potrebbe fungere da rete per la valorizzazione delle filiere dell'agroalimentare e dei beni culturali uniche e irripetibili, attraverso l'economia dell'esperienza.

I nostri paesaggi sono come degli arazzi antichissimi in cui sono ricamati i protagonisti di una vita rurale identica a se stessa da sempre, oltre alle centinaia di siti archeologici, a partire dall'epopea nuragica di cui i Giganti di Montiprama rappresentano solo l'ultimo recente esempio.

La vita nei piccoli centri è ancora intrisa di tradizione e quasi del tutto refrattaria all'omologazione con quegli aspetti della “modernità” che stanno togliendo peculiarità alle culture identitarie europee rendendole tutte sovrapponibili e noiosamente piatte.

Questo ovviamente senza nulla togliere a quegli aspetti del progresso necessari per stare al passo col resto del mondo, che noi sardi spesso siamo in grado di recepire con largo anticipo. Ne sono testimoni le esperienze delle prime aziende pionieristiche tutte sarde che intuirono il potenziale di internet fin dal lontano 1993, forse troppo in anticipo sui tempi e con risorse economiche limitate.

 

Cos'ha la Sardegna da offrire alla Svizzera?

Dire “il mare” e tutto quanto ne deriva, per una nazione solida che non lo ha, è tanto ovvio quanto riduttivo.

Tutto quanto descritto sopra è un potenziale in parte inespresso che a nostro parere ha bisogno di un partner capace e di comprovata esperienza per realizzarsi.

Una volta che il popolo sardo, con un iniziale tutoraggio da parte degli svizzeri, dovesse raggiungere la piena autonomia amministrativa, rimarrebbe per i partner confederati un territorio straordinario nel quale cooperare con una saggia politica di investimenti per portare all'eccellenza tutto quanto non ancora espresso: infrastrutture, servitù militari estese per centinaia di km quadri da riconvertire e valorizzare, fornitura energetica e servizi per soddisfare un fabbisogno sempre crescente.

Non ultimo il settore immobiliare.

La Sardegna ha migliaia di antiche abitazioni, abbandonate ed ormai in rovina, distribuite nei piccoli centri urbani e nelle campagne che attendono solo un acquirente.

Molti di noi sarebbero ben lieti di trovarlo in chi magari cerca una seconda casa al caldo.

Per gli svizzeri sarebbe un'opportunità, che, siamo certi, in pochissimi si lascerebbero sfuggire.

 

Se la Svizzera proponesse all'Italia di "acquistare" la Sardegna, quale sarebbe un prezzo adeguato?

Il concetto di vendita è stato sostanzialmente un pretesto e una provocazione per creare curiosità e rumore intorno all'iniziativa.

Ha funzionato.

Siamo certi del fatto che eventi socio-politici di questa portata, di cui si ha testimonianza storica, non hanno mai seguito un percorso normativo.

Noi sardi non accetteremmo mai di rappresentare una merce di scambio.

L'unico percorso possibile è quello dell'autodeterminazione democratica, come può dimostrare la particolare contingenza che vede l'Europa percorsa da molteplici spinte indipendentiste, dalla Scozia, alla Catalogna, passando per la Crimea ed arrivando ai nostri connazionali del Veneto.

Se poi, ma solo per gioco, volessimo soddisfare la curiosità di chi vuole conoscere un “prezzo”, potremmo partire dal valore delle attività patrimoniali immobiliare degli italiani, che corrisponde a circa quattro volte il PIL e dato che il PIL della Sardegna è pari a circa 35 miliardi di euro, si potrebbe dire che, secondo questo parametro, il valore dell’isola si attesterebbe intorno ai 140 miliardi di euro.

Comunque in ogni caso, per evitare strumentalizzazioni, questa è solo ed esclusivamente una valutazione scherzosa per star dietro alla provocazione!!!

 

In Svizzera esiste un sistema di 'perequazione finanziaria' tra i cantoni. E ipotizzabile che Sardegna possa essere un fruitore netto (che riceve più di quello che paga) o un pagatore netto (che paga più di quello che riceve)?

Se dovessimo partire dall’attuale situazione del rapporto economico tra Italia e Sardegna e dovessimo evocare quella che è comunemente definita come “vertenza entrate”, dovremmo dire che sinora è stata la Sardegna a “prestare” soldi all’ Italia.

Secondo le stime la Sardegna dovrebbe incassare tra i 12 ed i 15 miliardi di euro, di imposte e tributi riscossi dallo stato centrale nella nostra isola, dal 1991 ad oggi, e non ancora restituiti, nonostante le promesse e gli inutili tentativi di risoluzione tra i governi della Regione Autonoma della Sardegna e l’Italia.

Ma d’altra parte, se la Sardegna fosse una terra di benessere socio-economico non staremmo facendo oggi questa intervista.

I sardi sono un popolo fiero che non accetterebbe nessuna “elemosina”.

L'obiettivo è piuttosto quello di rimboccarsi le maniche e, con una guida illuminata, procedere spediti verso una prosperità quasi scontata per un milione e mezzo di persone in una terra così ricca di potenziale.

Se la perequazione dovesse favorire il processo, sarebbe probabilmente benvenuta, ma probabilmente non ne avremmo bisogno e, in ogni caso, siamo certi che anche in quella eventualità, in un futuro prossimo saremmo in grado di restituire tutto.

 

La proporzione di stranieri nella popolazione svizzera ammonta a più del 20 percento. Sarebbero disposti i sardi a ricevere una quota rilevante di stranieri sul territorio della Sardegna?

Il sardi sono un popolo ospitale quindi perché no?

E' evidente che sarebbe prioritario per tutti regolamentare in modo chiaro e rigoroso l'ingresso di stranieri, non foss’altro per garantire a tutti, stranieri compresi, prospettive di lavoro e benessere impensabili nel caso di un accesso indiscriminato.

Siamo certi, invece, che tantissimi svizzeri si riverserebbero nell'isola stagionalmente, eleggendola come seconda residenza e di ciò saremmo ben lieti!

 

Tra tutti i paesi a cui la Sardegna potrebbe accedere, perché ha scelto la Svizzera?

Per tutti i motivi esposti sopra, cioè eccellenza politico-amministrativa, efficacia delle politiche sociali ed economiche, rispetto delle culture identitarie e delle autonomie amministrative e istituzionali degli stati confederati.

Oltre a ciò perché siamo certi che la Svizzera, più di altre nazioni, prenderebbe in seria considerazione l'adesione come confederata di una terra come la Sardegna in virtù del mare, del territorio, delle potenzialità inespresse e del numero di abitanti esiguo.

Siamo inoltre convinti del fatto che l'insularità, montana per voi e marittima per noi, sia un fattore che per molti aspetti ci rende culturalmente affini.

 

Cosa vi ha deluso dell'Italia e dell'Unione Europea?

La risposta a questa domanda si trova nella cronaca politica attuale.

Non siamo contro l'Italia né anti-europeisti.

L'Italia è culturalmente ed emotivamente dentro tanti di noi.

Nonostante ciò ci rendiamo conto che la relazione non funziona più, è come un amore finito nel quale nasce l'esigenza di lasciarsi senza ostilità mantenendo affetto e rispetto, senza rimpianti.

L'Europa invece è un esperimento straordinario e ambizioso nel quale sono stati fatti errori umanamente comprensibili, ma che hanno creato enormi squilibri e crescente malcontento.

Non ce ne vorrà se, lontani da tutto e circondati dal mare, dovessimo scegliere di starcene per conto nostro.

 

Nell'ipotesi che la Svizzera fosse disposta a 'comprare' la Sardegna ma l'Italia non fosse disposta a cederla, che si fa?

Come detto non ci sarebbe alcuna compravendita ma sarebbe un evento socio-politico di autoaffermazione di cui è piena la storia.

Un tempo, tali eventi venivano a determinarsi attraverso le guerre e il sangue.

Oggi, in un mondo evoluto, di cui l'Europa è rappresentante di eccellenza, è auspicabile che ciò possa accadere secondo i più sani e puri principi di democrazia.

Sono un esempio, in tal senso, le già citate richieste che arrivano da più direzioni, Scozia, Catalogna, Crimea, da poco il Veneto e altri che verranno.

Noi cercheremo di trovare un’unità d'intenti verso l'affermazione di una autonomia democraticamente riconosciuta.

Agli svizzeri invece, ci permettiamo di chiedere di cominciare a riflettere, valutando attentamente sia i pro che i contro, sull'eventualità di una nostra richiesta di adesione al patto confederato.