Quando i porci si presero le perle e le gettarono nel fango

A chi mai potrebbe venire in mente di trasformare un autentico paradiso in qualcosa che somiglia tanto a un inferno?

Chi, avendo tra le mani una grande ricchezza, potrebbe deliberatamente scegliere di rovinarne i preziosi gioielli coprendoli di rottami rugginosi e sotterrandoli sotto milioni di metri cubi di fango corrosivo?  

Candide spiagge caraibiche illuminate da brillanti acque turchesi; scogliere spettacolari a picco sul mare, scolpite in forme fantastiche dal vento; stagni e zone umide popolate da comunità di fenicotteri rosa e da altre numerose specie faunistiche; ricche vestigia di un passato antico di grande valore archeologico; un pittoresco villaggio marinaro, raccolto attorno al suo porticciolo di pescatori, con un bel lungomare che l’accompagna per qualche chilometro, impreziosito da una spettacolare tonnara, testimonianza di vecchie storie affascinanti. 

Il tutto fronteggiato e racchiuso da suggestive isole, quasi a creare un proprio mare interno. Questo è Portoscuso con la sua costa, nella zona sud occidentale della Sardegna.

Un contesto complessivo d’inestimabile valore, come pochissimi ce ne sono in tutta la Sardegna, unico nel sud dell’isola.

Portoscuso sarebbe potuta essere la Saint Tropez della Sardegna, sono assolutamente convinto di non esagerare nel paragone.

Non credo ci volesse una grande visione per capire, anche cinquant’anni fa, che Portoscuso e il suo territorio avevano un potenziale di bellezza straordinario.

I flussi turistici, allora, non erano certo quelli di oggi, ma era proprio in quegli anni che nascevano e si sviluppavano i piani turistici nel Mediterraneo.

Baleari, Costa Brava, Costa del Sol, Versilia, Riviera Adriatica e, appunto, la Costa Azzurra, con la sua perla più preziosa: Saint Tropez

Ma non c’era bisogno di allontanarsi tanto.

Non c’era nemmeno bisogno di lasciare l’isola per osservare cosa succedeva ad Alghero, nella nascente Riviera del Corallo o, ancora meglio a nord est, dove un miliardario ismaelita con i suoi soci cosmopoliti aveva già dato vita alla Costa Smeralda, una pietra miliare della storia recente della Sardegna.

Non ci voleva una grande visione.

Decisero invece di ricoprire quel tesoro sotto giganteschi mostri di lamiera, con lunghe braccia estese verso l’alto a oscurare il cielo di fumi; sotto l’asfalto di chilometri di strade e piazzali di una oscena area industriale; soprattutto, sotto milioni e milioni di metri cubi di fango, rosso e corrosivo come la soda caustica. 

Dal giornale il Messaggero Sardo - aprile 1975:

Il colosso dell’alluminio è in agonia: in appena sette anni di attività ha già messo in risalto le carenze di una struttura industriale nata con il piede sbagliato, progettata con impianti tecnologicamente superati e con una valutazione del mercato del tutto approssimativa. Oggi l’alluminio prodotto a Portovesme è invendibile; costa 1200 lire al kg e deve però essere venduto a 700 lire perché questo è il prezzo sul mercato internazionale.

Quella che doveva essere la patria dell’alluminio italiano si sta dimostrando invece una fabbrica di illusioni

Era il 1975, appena sette anni dopo l’avvio del polo industriale di Portovesme, ma come scrivevano i giornali di allora, il mostro che era atterrato come un essere alieno nel paradiso di Portoscuso stava già crollando miseramente trascinando dietro di se un territorio ormai devastato e qualche migliaio di nuovi disoccupati.

Perché per far fronte alla crisi epocale che aveva investito il settore minerario della Sardegna, che sotto la protezione autarchica, prima del fascismo e poi delle barriere doganali del primo dopoguerra, aveva potuto nascondere la sua inefficienza e anti-economicità, negli anni ‘60 si era individuata a Portoscuso l’area dove far nascere la “rivoluzione industriale” della Sardegna.

Se, al di là della esatta posizione geografica prescelta, poteva forse avere qualche senso sviluppare allora un’industria che lavorasse localmente il piombo e lo zinco estratto dalle miniere del Sulcis, che portò alla nascita dell’attuale fabbrica della Portovesme srl (non a caso, l’unica ancora attiva, pur tra molte difficoltà), è invece tanto incomprensibile quanto sciagurata la decisione di realizzare in Sardegna un polo dell’alluminio.

Quella scelta assomiglia tanto a quella di quando da bambini si faceva girare il mappamondo e poi si puntava il dito su un punto del tutto casuale della sfera terrestre.

Solo così, affidando la sorte dei sardi alla rotazione di una Ruota della SFortuna con soli spicchi perdenti, si poteva pensare di lavorare a Portovesme una materia prima, la bauxite, che arrivava addirittura dagli antipodi, dall’Australia, con una resa scarsa, costi energetici enormi e quantità mostruose di scarti inquinanti.

Fu proprio quella, che sembra più una casualità che una scelta ponderata, a ricoprire il paradiso di relitti industriali arrugginiti e di fango corrosivo.

Fu allora, poco più di cinquant’anni fa, che i porci presero le nostre preziosissime perle e le gettarono in quel fango rosso come il sangue rappreso.

BOh? è la prima esclamazione di stupore di fronte all’iniziativa, tanto assurda quanto incomprensibile, di fare di un magnifico tratto di costa della Sardegna il polo italiano dell’alluminio.

BO (Giorgio), senza la H finale, è invece il nome del Ministro che per ben otto governi, dal 1960 al 1968, guidò dal Ministero delle Partecipazioni Statali quella follia dell’attacco a Portoscuso con le armi chimiche necessarie a combattere, sulle spalle di noi sardi, una tragica guerra già persa in partenza,.

Fu l'EFIM il braccio armato attraverso il quale l’Italia condusse quell’impresa (bellica) che consisteva nel realizzare e gestire il polo integrato dell'alluminio di Portovesme, costituendo l'Eurallumina per la lavorazione della bauxite, l'Alsar per la produzione di alluminio primario, la Sardal per gli estrusi e la Comsal per i laminati.

La bauxite é un minerale, che si trova sotto forma di roccia o argilla dal caratteristico colore rossastro. Grazie alla sua composizione contente idrossido di alluminio in quantità variabili é alla base della produzione di alluminio.

Mediamente, per produrre una tonnellata di alluminio ne occorrono circa quattro di bauxite.

I fanghi rossi ne rappresentano gli scarti: un miscuglio caustico con un pH altissimo, quindi altamente corrosivo, costituito di ossidi ricchi di metalli, principalmente di ferro che gli conferisce il tipico colore, di silicio, spesso con un pizzico di elementi radioattivi e di piccole quantità di terre rare.

Ciò che resta, dopo che l'alluminio è stato estratto dal minerale, rappresenta uno dei problemi ambientali più gravi dell’industria mineraria mondiale.

Si stima che nel mondo vi siano depositi di fanghi rossi per il mostruoso volume complessivo di oltre 3 miliardi di tonnellate, più di 400 kg di fango per ogni abitante della terra!

Ma come poteva venire in mente di far arrivare in Sardegna milioni di tonnellate di bauxite dall’altro capo del mondo, con due navi da 250 mt di lunghezza costruite appositamente per quel lunghissimo viaggio dall’Australia?

BOh?

E come pensare di utilizzare il carbone sardo, noto per la sua bassissima qualità e resa calorica, per alimentare la nuova centrale elettrica, gigantesca, realizzata proprio allo scopo di produrre l’enorme quantità di energia necessaria al processo produttivo? Una quantità che rappresentava oltre il 30% dell’energia elettrica consumata nell’intera Sardegna

BOh?

Era chiaro a chiunque che sarebbe stata un’impresa fallimentare. Un’impresa costata fino a oggi un indefinito numero di miliardi di euro.

Un’impresa che ha soltanto lasciato sul terreno una immensa scia di veleni.

BOh BOh

Appena due decenni dopo l’avvio delle attività a Portovesme, quella sciagurata decisione di farne il polo italiano dell’alluminio aveva reso il paradiso di Portoscuso un’ "Area ad alto rischio di crisi ambientale".

L’azzurro del cielo e il blu turchese del mare si erano ormai drammaticamente macchiati del nero del carbone della centrale termoelettrica e del rosso della polvere di bauxite, arrivata dall’Australia per produrre alluminio

Mentre capannoni e impianti, abbandonati e in rovina, si coprivano di ruggine.

In quelle polveri sottili che col vento avvolgono l’intera zona ci sono piombo e cadmio. Il terreno è impregnato di metalli pesanti. La falda sotto Portovesme è un concentrato di veleni, secondo la relazione dell’Agenzia regionale per l’ambiente: i campioni prelevati nell’area industriale rivelano arsenico, cadmio, fluoro, piombo, mercurio, tallio, zinco e idrocarburi policiclici aromatici, tutto in quantità centinaia o migliaia di volte oltre i limiti. Sostanze tossiche, neurotossiche, cancerogene.

Nel frattempo la maggior parte del lavoratori ha perso il lavoro o ha trascorso decenni di vita in Cassa Integrazione, in attesa dell’illusione di un’occupazione stabile e sicura.

Una tragedia immensa su tutti i fronti.

Una visione folle e criminale che ha lasciato la sua più terribile eredità nelle immense vasche che, in riva al mare, accolgono decine di milioni di metri cubi di fanghi rossi: gigantesche discariche a cielo aperto sequestrate dalla magistratura nel 2009 per disastro ambientale e ancora sotto i sigilli, mentre é tuttora in corso il processo penale nei confronti dei dirigenti di Eurallumina.

I fanghi rossi, red muds, in inglese, stoccati in giro per il mondo nella spaventosa quantità di oltre 3 miliardi di tonnellate, rappresentano uno dei rifiuti industriali più abbondanti del pianeta, catalizzando gli sforzi globali dei ricercatori di tutto il mondo per trovare modi per riciclarli e riutilizzarli. Perché oggi il rischio é anche quello di non poter più produrre alluminio, che peraltro viene ormai riciclato e riutilizzato in una quota pari al 75%, per non creare ulteriori scarti di produzione.

Si stanno sviluppando studi e tecnologie per estrarre dai fanghi preziose terre rare, in particolare lo scandio, con risultati interessanti ma non risolutivi: lo scandio vale sul mercato 3.500 dollari al kg, ma da un milione di parti di fango se ne possono recuperare appena 140: il 99,9% del fango rimane da smaltire...

Altri progetti prevedono di trasformare il fango in cemento o in mattoni con caratteristiche di resistenza notevoli.

Si é addirittura scoperto che il fango rosso ridotto in sabbia, come sottofondo stradale, grazie alla sua alcalinità, ha la proprietà di abbattere il CO2 prodotto dai gas di scarico dei veicoli, riducendone le emissioni inquinanti.

Eppure nonostante tante speranze e ben 700 brevetti registrati nel mondo per il suo riutilizzo, solo il 3% del fango rosso viene attualmente riciclato.

I costi sono troppo alti, perché ottenere prodotti analoghi con tecnologie tradizionali costa enormemente meno.

Le discariche di Portovesme resteranno lì per sempre senza il contributo finanziario determinante e consistente al riciclaggio da parte di chi ha prodotto lo scempio, ossia lo Stato italiano e la Regione sarda che l’hanno promosso e consentito, oltre alle  aziende produttrici che l’hanno materialmente prodotto.

Nella cultura giapponese ogni storia, anche la più tormentata, può essere fonte di bellezza e ogni cicatrice rappresenta un valore importante da mostrare con orgoglio.

Proprio su questa idea si fonda l’antica tecnica del Kintsugi, che consiste nell’utilizzo dell’oro per riparare gli oggetti di ceramica rotti.

Nel saldare i frammenti con quel metallo pregiato si dimostra che da una ferita è possibile far nascere una forma originale e diversa, ancora più preziosa.

Ogni oggetto riparato, così, diventa unico grazie alla casualità con cui la ceramica può rompersi e alle irregolari decorazioni che si formano con il metallo.

Nel corso degli ultimi decenni, Portoscuso é stata colpevolmente fatta a pezzi, ma le profonde ferite del suo territorio possono in futuro diventare una nuova forma di bellezza.

Sarà prima indispensabile far cicatrizzare quelle ferite, con un’ampia, complicata e costosa opera di bonifica.

Dovranno essere trovate le risorse per farlo presso chi le ha causate.

Si dovranno usare tutti i mezzi e le possibili tecnologie già disponibili, ricorrendo anche ai tanti lavoratori in Cassa Integrazione o che vivono di sussidi.

Poi, tra le colline alle spalle di Portovesme, dove oggi sorge il parco eolico, potrebbe nascere uno spettacolare campo da golf da 18 buche con vista panoramica sul mare e sulle isole. L’acqua per irrigarlo verrebbe fornita dai desalinizzatori realizzati al posto di qualcuno degli impianti dismessi.

Il porto di Portovesme, ripulito e ridisegnato, potrebbe essere un bell’approdo turistico, sul modello dei marina francesi.

I grandi impianti industriali, bonificati e messi in sicurezza, diventerebbero un’attrazione straordinaria, una sorta di grande parco a tema dell’archeologia industriale. Una via di mezzo tra un immenso museo e una Eurodisney postindustriale.

Non è un’idea strana della mia fantasia, ma una realtà non troppo dissimile da quanto già realizzato in giro per l’Europa.

Cito per esempio il sito di Völklinger Hütte, nella Germania centrale, tutelato dall’Unesco per le sue caratteristiche.

Un luogo bellissimo e affascinante, al quale si riferiscono le foto che ho scattato qualche anno fa: era una gigantesca acciaieria fondata nel 1873, dove lavorarono fino a oltre 17000 operai. Oggi è diventata il punto di partenza del percorso del patrimonio industriale europeo - la European Route of Industrial Heritage.

L’attuale area industriale di Portovesme, opportunamente riprogettata, ospiterebbe anche strutture ricettive, realizzate recuperando e adattando capannoni e strutture industriali.

Ma la vera perla, svettante su quelli che prima erano (sono oggi) i fanghi rossi e neri della bauxite e del carbone, sarebbe la Mediterranean Panorama 360, che con i suoi 250 metri é la costruzione più alta d’Italia e soprattutto potrebbe diventare il più spettacolare ascensore panoramico dell’intero Mediterraneo.

Proprio quella che oggi è la ciminiera della centrale termoelettrica dell’Enel, della quale è già prevista la chiusura nei prossimi anni, diventerebbe la massima attrazione turistica della zona e dell’intera Sardegna.

Precisamente sul modello del British Airways I360 di Brighton, l’ascensore panoramico sulla Manica, sul quale dall’apertura, avvenuta nel 2016, sono già salite più di 2 milioni di persone.

Come la compagnia di bandiera britannica ha sponsorizzato la torre inglese (fino a quest’anno), ho in mente quale azienda potrebbe legare il suo nome iconico alla torre sarda.

Indovinate un po’!

Negli anni ‘60 del secolo scorso, quando per risolvere il problema occupativo si concepì e si avviò quello sfregio immane di Portovesme, gli occupati complessivi del settore minerario erano meno di 24 mila, in tutta la Sardegna.

Oggi gli occupati nel turismo sono più del doppio, poco meno di 60 mila nell’intera isola.

Si pensi, senza andar lontano, che alle Baleari, molto più piccole per superficie e meno abitate, gli occupati nel settore turistico sono oltre 160 mila.

Da Arbus a Teulada, lungo la costa e poi in tutto il Sulcis-Iglesiente ma non solo, l’impatto complessivo offerto dal nuovo volto di Portovesme potrebbe generare diverse migliaia di posti di lavoro.

Un sogno, il mio? Una follia visionaria? Una semplice provocazione? Un progetto tecnicamente difficilissimo da realizzare e soprattutto troppo costoso?

Ne sono consapevole: è molto molto improbabile che si possa concretizzare anche solo una minima parte di ciò che ho immaginato e descritto, ma pensateci, era forse più logico, sensato, economico e finanziariamente sostenibile realizzare il polo dell’alluminio, come invece é accaduto cinquant’anni fa, o accanirsi nel cercare di tenerlo artificialmente in vita, come avviene ancora oggi???

Sono assolutamente convinto che sia arrivato il momento di pretendere da chi ha gettato le perle nel fango, che le recuperi e le ripulisca, facendole tornare a brillare come meritano.

Più belle di prima, nonostante le profonde cicatrici, proprio come insegna l’arte Kintsugi.

Il resto della meraviglia, Portoscuso e la sua costa già lo possiedono in abbondanza.

Scrivi commento

Commenti: 2
  • #1

    Luca (domenica, 08 maggio 2022 13:46)

    Mi pare che questo articolo sia fuori tempo, forse non è a conoscenza di quello che verrà imposto e non è cosa di cui si parla da qualche giorno ma da molti mesi, forse un aggiornamento non guasterebbe. Resta il fatto che è bello sognare.

  • #2

    Mario Papa (lunedì, 09 maggio 2022 09:44)

    E mica è ancora finito. Per chi decide le cosiderazioni paesaggistiche e turistiche non valgono una cippa, ora vogliono imporre a Portovesme un gassificatore costituito da una nave ancorata in permanenza nel porto, senza alcuna considerazione del pericolo imposto alla popolazione di Portoscuso che dista solo 1 KM. Gli altri impianti che esistono in Italia sono offshore a 20 Km dalla costa, a parte quello di La Spezia che sorge in una piccolissima baia circondata da colline che schermano interamente il territorio circostante. Se proprio la Sardegna ha bisogno di gas proprrei di fare il gassificatore su una delle tante scogliere che in costa Smeralda circondano le ville degli oligarchi russi e italiani.