Come ciclicamente accade da anni, i pastori sardi sono nuovamente sulle strade dell’isola per reclamare a gran voce il diritto a una giusta remunerazione del proprio lavoro. In questi giorni lo fanno rovesciando ettolitri di latte sulle vie di comunicazione dell’isola.
Sessanta centesimi appena per un litro di latte di pecora, che significano circa 100/120 euro all’anno a capo, dato che una pecora sarda arriva raramente a produrne più di 200 litri, in una stagione produttiva che va mediamente da ottobre/dicembre sino a giugno/luglio.
É facilmente comprensibile come, con questi numeri, sia pressoché impossibile garantire una redditività appena sufficiente al settore che più di tutti caratterizza la produzione agroalimentare ed anche, e soprattutto, il paesaggio della Sardegna.
Le pecore nell’isola sono circa 3.300.000, esattamente il doppio dei suoi abitanti. Per ogni sardo ci sono due pecore.
Ecco perché le greggi sono un elemento onnipresente negli scenari che caratterizzano la Sardegna.
Questa monocoltura, tipicamente sarda, dato che gli ovini allevati in Sardegna rappresentano quasi il 50% del totale italiano, combatte una battaglia durissima e impari contro la globalizzazione e la modernizzazione dell’allevamento e dell’agricoltura.
La tecnica di allevamento della pecora sarda é, sostanzialmente, la stessa da centinaia, se non da migliaia d’anni. Immutata nel tempo di fronte ad una evoluzione generale che ha caratterizzato e trasformato radicalmente il mondo in tutti i suoi settori produttivi. Tuttora la maggior parte dei pastori conducono piccole greggi di meno di 100 capi al pascolo brado, in maniera probabilmente non molto differente da quanto facevano i nostri antenati nuragici
É quindi comprensibile come queste vestigia di un passato, per molti versi, remoto siano in totale balia delle leggi che il moderno mercato globale detta in maniera inesorabile.
Si aggiunga poi che oltre il 50% della produzione di latte ovino sardo é destinata ad un unico prodotto, con pochissimi produttori e un solo mercato di riferimento, il Pecorino Romano venduto negli USA, e diventa inevitabile il fatto che la pastorizia sarda si trovi in una situazione di equilibrio più che precario, sempre sull’orlo del precipizio.
Ma sarebbe mai immaginabile la Sardegna senza le sue pecore e i suoi pastori? I paesaggi sardi sarebbero ancora gli stessi se non più punteggiati dalle sue greggi? Un pasto sardo senza il pecorino sulla tavola sarebbe ancora apprezzabile e genuino come lo è oggi?
Sono certo che non sarebbe così !!!
La nostra storia, la nostra cultura, la nostra tradizione, la Sardegna non può prescindere dalla pastorizia.
I pastori, le pecore e il formaggio pecorino sono una nostra grande ricchezza immateriale, moltiplicata in maniera esponenziale proprio dal fatto che giunge quasi immutata da un passato millenario dopo aver attraversato indenne le tante vicissitudini che hanno caratterizzato secoli di storia della Sardegna.
La Sardegna non sarebbe più la stessa come non lo sarebbe la Svizzera senza le sue mucche che brucano libere nei pascoli alpini, senza i suoi formaggi di malga, senza i suoi fienili di legno.
Anche gli allevatori delle montagne svizzere combattono la stessa battaglia dei pastori sardi contro la modernizzazione produttiva e contro la globalizzazione, ma con la differenza che loro non sono soli.
La Costituzione federale elvetica, all’art.104, recita:
«La Confederazione provvede affinché l’agricoltura, tramite una produzione ecologicamente sostenibile e orientata verso il mercato, contribuisca efficacemente
- a garantire l’approvvigionamento della popolazione;
- a salvaguardare le basi vitali naturali e il paesaggio rurale;
- a garantire un’occupazione decentrata del territorio.
A complemento delle misure di solidarietà che si possono ragionevolmente esigere dal settore agricolo e derogando se necessario al principio della libertà economica, la Confederazione promuove le aziende contadine che coltivano il suolo. La Confederazione imposta i provvedimenti in modo che l’agricoltura possa svolgere i suoi compiti multifunzionali.
Le competenze e i compiti della Confederazione sono in particolare i seguenti:
- completare il reddito contadino con pagamenti diretti al fine di remunerare in modo equo le prestazioni fornite, a condizione che sia fornita la prova che le esigenze ecologiche sono rispettate;
- promuovere mediante incentivi economicamente redditizi le forme di produzione particolarmente in sintonia con la natura e rispettose dell’ambiente e degli animali. »
La Svizzera dunque attribuisce all’agricoltura (e all’allevamento) esattamente quel ruolo che hanno in Sardegna i pastori, come più in generale coloro che sono oggi ancora impegnati nel settore primario nell’isola.
La Svizzera questo ruolo fondamentale dell’agricoltura lo rende economicamente sostenibile con un investimento di circa 3 miliardi di euro all’anno ...
É questa purtroppo la realtà, come mantenere il parco di un grande castello bello e curato costa tanto, anche mantenere il parco naturale "Sardegna" costerebbe cifre che certamente non ci possiamo permettere.
Le risorse delle quali dispone la Svizzera, in Sardegna non le possiamo nemmeno immaginare.
Resta tuttavia l’impressione che in Sardegna le risorse, seppure limitate, siano anche programmate, investite e gestite malamente e senza molto criterio.
E con questo non penso che si debbano distribuire incentivi a pioggia, in maniera indiscriminata e senza una strategia complessiva che consideri nello stesso tempo come migliorare, valorizzare, distribuire e monitorare la produzione agricola.
Certamente non saprei però come interpretare le parole dell’assessore sardo all’Agricoltura, appena qualche mese fa, a settembre dello scorso anno:
«Riconosciuto ormai da tutti che non esiste alcuna sovrapproduzione di latte, come abbiamo dimostrato alcuni mesi fa con dati ufficiali elaborati da Agris Siamo tutti uniti da un unico obiettivo, tutelare il prezzo del latte da speculazioni ignobili che spesso, alimentate da chiacchiericci o discutibili informazioni rilasciate pubblicamente o agli organi di stampa, mettono a rischio un precario equilibrio che per decine di migliaia di pastori può provocare danni economici gravissimi»
Come a dire, "per noi é tutto sotto controllo, sono gli industriali avidi speculatori che dipingono strumentalmente scenari che non esistono" (mancava solo che l'assessore mettesse direttamente alla gogna... i Pinna di Thiesi).
Mentre solo qualche mese prima, ad aprile, il suo collega, assessore al Bilancio e Programmazione, si esaltava annunciando una riduzione del 50% delle giacenze di Pecorino Romano, grazie a uno strumento finanziario che, a suo dire, avrebbe aiutato «tutti i componenti del comparto, a partire dai pastori, e avrà inoltre il fondamentale ruolo di calmierare i prezzi sul mercato».
http://www.regione.sardegna.it/j/v/2568?s=366188&v=2&c=35&t=1
Come sia andata a finire, nonostante i facili proclami dei nostri amministratori, lo vediamo in questi giorni.
Alla fine di febbraio, con le prossime elezioni regionali, inizia un altro giro, e ne sono certo, presto o tardi, altro latte finirà versato sulle strade, insieme al sudore e alle lacrime dei pastori.