
Era il 2007.
E gli archistar di Basilea, Herzog & De Meuron, immaginavano un futuro radioso per l'area mineraria di Monteponi, a pochi chilometri da Iglesias
Era la fine del 2007, quando con il proposito di ridisegnare la Sardegna e il suo futuro, l'allora governatore Renato Soru invitò diversi architetti di fama mondiale a progettare nuovi spazi e a riqualificarne radicalmente di esistenti.
Fu allora che apparvero i progetti del Betile di Zaha Hadid, probabilmente il più noto di questi, quelli di Paulo Mendez da Rocha, per il nuovo campus universitario di Cagliari, di Rafael Moneo, per un nuovo palazzo della Regione, di Rem Koolhaas per il recupero del quartiere di S.Elia a Cagliari, di Kengo Kuma per un campo da golf a Villasimius.
E infine quello degli archistar svizzeri, Jacques Herzog e Pierre De Meuron, per la riqualificazione dell'area mineraria di Monteponi, a Iglesias.
Dallo studio di Basilea dei celebri e pluripremiati architetti sono nati, tra gli altri, lo Stadio Olimpico di Pechino (il cosiddetto Nido d'Uccello), l'Allianz Arena di Monaco, la Tate Modern di Londra, sino alla Elbphilarmonie di Amburgo.
Nel settembre del 2007 Jacques Herzog raccontava a Cagliari la sua proposta per dare nuova vita all'enorme area industriale abbandonata, alle porte di Iglesias, dove ora ci sono solo macerie, colline di fanghi rossi (circa 3 milioni di metri cubi di residui del processo di elettrolisi che serviva per ricavare zinco e piombo dalle rocce di calamina estratte dal sottosuolo) e tanti edifici di archelogia industriale della fine dell' 800 e dei primi del '900, con ancora molto del loro fascino.
La grandiosa miniera metallifera di piombo, argento e zinco di Monteponi, che ha rappresentato a lungo uno dei più importanti impianti produttivi dell'Italia con centinaia di lavoratori e abitanti, sarebbe dovuta diventare nel nuovo millennio un mix di cultura, residenza, piccole imprese e negozi.
«Monteponi è il primo progetto su larga scala a cui abbiamo lavorato; volevamo capovolgere la logica, ormai perdente ma sempre molto accattivante, delle città-fiaba, dei villaggi vacanze-ghetto, dei punti ciechi che sono diventati i nostri centri turistici, anche quelli di successo. Monteponi, per la sua storia fatta di lotte e sofferenza, conserva agli occhi di uno straniero un fascino romantico, ma terribile: una acropoli industriale con una topografia interessante a pochi metri da una vera città. Abbiamo affrontato questa scommessa - raccontava Herzog durante la manifestazione Festarch del 2007 - scomponendo il nucleo centrale dei vecchi edifici industriali, e sovrapponendo su diversi assi i piani degli edifici, con nuovi edifici, senza toccare le volumetrie complessive, con forme lineari sollevate rispetto al passato e collegate insieme. La nuova laveria di Monteponi sarebbe così dovuta esser collegata agli altri edifici. Applicando lo stesso metodo usato per la sala concerti di Amburgo, dove un edificio industriale è servito come base per un nuovo edificio di vetro, la sala concerti vera e propria».
Il progetto per Monteponi, che si sarebbe dovuto sviluppare su un'area di 39.000mq con un investimento previsto di circa 140 milioni di euro, di cui 40 stanziati dalla Regione Sardegna, prevedeva sia la ristrutturazione degli edifici esistenti, che la demolizione di altri irrimediabilmente compromessi, con la contemporanea costruzione di nuovi ambienti; lo studio riguardava anche la rimodulazione di edifici già presenti. L'idea dello studio elvetico era appunto quella di far rivivere «l'Acropoli industriale» iglesiente, facendone un polo di attrazione turistica ma anche un luogo produttivo, di cultura, di studio e di servizi, con una sede universitaria, vivibile a trecentosessanta gradi in ogni periodo dell'anno, sia dai locali che dai turisti.
Il masterplan per Monteponi disegnava un grande edificio da costruire al centro dei fanghi rossi che secondo il progetto di Jacques Herzog e Pierre de Meuron, sarebbe dovuto essere un albergo da 200 posti letto, collegato alle altre strutture da alcune pensiline aeree. Era anche prevista una zona residenziale che con quella ricettiva sarebbe stata strettamente connessa alla zona universitaria: nessun micro-quartiere, ma un grande complesso dove le case, gli alberghi, gli edifici universitari, si sarebbero dovuti intersecare sovrapposti gli uni agli altri intorno a grandi spazi comuni, luoghi di incontro, ricreazione e intrattenimento, con locali pubblici e un'arena per gli spettacoli all'aperto.
Le nuove costruzioni avrebbero affiancato gli edifici ristrutturati, come il Pozzo Sella e i Magazzini, che avrebbero dovuto ospitare il più grande archivio minerario d'Italia.
Secondo il progetto i pozzi minerari, almeno in parte, sarebbero rimasti fruibili, come già accade in altre aree minerarie reinventate per un uso turistico.
«Il progetto è praticamente concluso, metro quadro per metro quadro - affermava Herzog nel 2007 - abbiamo mantenuto le radici persino nel disegno delle finestre dei diversi edifici, ma abbiamo ricostruito un intero villaggio»
Restavano allora da trovare gli almeno cento milioni di euro necessari per completare il finanziamento della grande opera, il privato disposto ad investirli e ad assumersi poi l'impegnativo compito di gestire il nuovo “villaggio” e renderlo produttivo.
Oggi, a distanza di dieci anni, le colline dei fanghi rossi sono sempre al loro posto, le strutture della vecchia miniera di Monteponi continuano ad andare in rovina in attesa di nuova vita, a qualche chilometro di distanza, nella zona di Portovesme, si continuano a spendere milioni di euro di soldi pubblici nella illusoria rincorsa di un modello industriale, che non ha mai avuto alcuna coerenza con la naturale inclinazione della Sardegna e che oggi è irrimediabilmente superato.
L'avventura politica di Soru è probabilmente terminata definitivamente, come anche il suo slancio visionario, forse troppo, si era ormai perso da molti anni.
Il sogno svizzero di Herzog & De Meuron per il Sulcis si è perso in fondo all'enorme cassetto che lo contiene insieme a tanti altri ormai dimenticati.
Noi del Canton Marittimo continuiamo invece a credere in una Sardegna, terra di grandi opportunità, dove la Svizzera potrebbe aiutare noi Sardi a progettare e, questa volta, a realizzare nuovi scenari e nuovi percorsi per poter valorizzare queste opportunità, finalmente.

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