
Le imprese trovano un panorama più propizio in Burkina Faso o in Kyrgyzstan.
Le donne hanno più opportunità di far carriera nel Mali e persino in Arabia Saudita.
Nel Ghana e in Cambogia riescono a trattenere molti più "cervelli in fuga".
L'Italia va peggio di tutti questi paesi che nessuno mai considererebbe meglio del nostro. Eppure e così?
Ma per la Sardegna può esserci una via d'uscita...
GLOBAL TALENT COMPTITIVENESS INDEX 2017 - Talent & Technology
E' stato pubblicato nei giorni scorsi il dossier che presenta i risultati del Global Talent Competitiveness Index.
Quale sia la prima nazione in classifica, non stiamo nemmeno a dirlo. È ormai scontato e rischiamo di apparire pedanti in questa nostra insistenza.
Ma è il risultato dell'Italia, che è significativo e rappresenta lo specchio esatto di un paese in tragico e inesorabile declino.
Un paese che non crede nel suo futuro, che non offre opportunità ai propri giovani, che non investe in istruzione e formazione, che rende maledettamente difficile la vita a chi fa ricerca, ma anche a chi costruisce impresa e lavoro, che non promuove, e anzi spesso mortifica, il talento: questa è l'Italia di oggi, un'Italia che appare quasi senza speranza...
È il ponderoso studio presentato dal team internazionale coordinato da Adecco, Insead e dallo Human Capital Leadership Institute, a confermarlo, purtroppo, senza appello.
La ricerca che ha raccolto ed elaborato migliaia di dati, si pone tra i suoi obiettivi principali quello di "consentire ai responsabili politici di disporre di elementi accurati e significativi, per guidare potenzialmente le loro scelte nella definizione delle priorità e nella formulazione delle politiche strategiche da adottare".
E questo studio, che analizza come il Talento, nel senso più ampio del termine, viene gestito e valorizzato nel mondo, di elementi sui quali riflettere ne offre veramente tanti.
Ma evidentemente i politici italiani (e quelli sardi) hanno letture più interessanti alle quali dedicarsi. Così come i loro predecessori, per decenni, si sono certamente occupati di altre "priorità", ma non di far crescere il paese da questo punto di vista.
Eppure dovrebbe essere chiaro sin dall'origine dell'uomo, dall'invenzione della ruota sino ad arrivare all'elaborazione dell'intelligenza artificiale, che il progresso e lo sviluppo economico passano necessariamente attraverso la ricerca scientifica e tecnologica, e la valorizzazione del talento che ne è il principale ingrediente.
Tornando al Global Talent Competitiveness Index (GTCI), sono 65 i parametri principaliclassificati nello studio, raccolti nei 6 "pilastri" che sono alla base della competitività espressa dalle 118 nazioni mondiali analizzate nelle oltre 340 pagine del dossier.
Sei pilastri che definiscono precisamente come ogni nazione predispone il terreno per la crescita del "talento" e l'ambiente economico, lavorativo, culturale, sociale, politico complessivo che ne può garantire lo sviluppo e la valorizzazione.
L'Italia, come appare anche dalla nostra quotidianità, esce con le ossa rotte da questa analisi, tanto approfondita quanto impietosa.
Quella che per secoli è stata la culla della cultura e civiltà occidentale, che solo una trentina d'anni fa era la quinta potenza economica mondiale, oggi occupa un mediocre quarantesimo posto nella classifica del GTCI, preceduta da nazioni come Slovenia, Lituania, Lettonia, Barbados, Cile, e Costa Rica, che avremmo immaginato lontane e molto più indietro.
E sugli stessi livelli di Grecia, Montenegro e Mauritius.
Ma alcuni singoli risultati, disastrosi, dimostrano meglio sino a che punto sia precipitata l'Italia.
Ricordiamo che sono un totale di 118 le nazioni classificate.
Questi sono alcuni dei piazzamenti, tra i 65 parametri considerati, che posizionano l'Italia agli ultimissimi posti al mondo:
- Relazione tra governo e mondo imprenditoriale: 116°
- Ambiente globale per il business e per il lavoro: 102°
- Collaborazione tra lavoratori e proprietà aziendale: 108°
- Meritocrazia sul lavoro: 103°
- Rapporto tra stipendi e produttività dei lavoratori: 114°
- Investimenti in Ricerca e Sviluppo stranieri nel paese: 107°
- Aziende a prevalente proprietà straniera: 101°
- Opportunità di crescita sul lavoro per le donne: 117°
- Investimenti aziendali in formazione del personale: 114°
- Livello di delega dei dirigenti ai propri subordinati: 111°
- Dis-incentivo al lavoro a causa di tasse e contributi sociali: 115°
- Capacità di trattenere i "cervelli": 98°
Non ci sarebbe bisogno di commentare i risultati, perché questi numeri si commentano benissimo da soli, salvo osservare come la situazione italiana sia totalmente deficitaria, non solo per caratteristiche negative che ben conosciamo, come il peso insopportabile della tassazione che rende addirittura sconveniente investire e lavorare, la distanza tra politica e mondo produttivo, la fuga di cervelli, ma anche che per un sistema politico-amministrativo-normativo che ha condizionato e corrotto anche l'ambiente aziendale nel suo interno, con rapporti scadenti tra dirigenti e impiegati/operai, assenza di meritocrazia e riconoscimento dei risultati, bassissimo livello di formazione e crescita professionale.
Un sistema che nel suo complesso è arrivato al collasso in quasi tutte le componenti che lo costituiscono.
Si potrà ora discutere sul valore e sull'attendibilità assoluta di questa, come di altre classifiche, sui singoli risultati come su quello generale che ne emerge.
O su un metro di giudizio applicato forse con troppa severità verso una ex "prima della classe".
Eppure anche questo studio, complesso e qualificato per le sue fonti e l'autorevolezza dei suoi redattori, come molti altri che giungono a conclusioni simili, certifica con disarmante chiarezza che ciò che troppo spesso, strumentalmente, i nostri governanti occultano, o scientemente travisano, è che il paese Italia è lanciato a velocità folle verso un burrone.
Si offre al mondo, a chi ne guida le scelte strategiche globali, come a chi semplicemente vuol fare ricerca, creare un'impresa o decidere un investimento produttivo più o meno importante, uno scenario di desolazione, con dati tanto pesanti quanto quasi incredibili.
E anche i dati che riguardano la presenza di aziende straniere in Italia stanno a testimoniarlo.
La Sardegna è, suo malgrado, parte di questo sistema malato, e anzi data la sua perifericitá soffre di sintomi ancora più gravi.
Ma proprio questa perifericità, oltre al fatto che il deficitario sistema italiano, pure nella sua compenetrazione in tutti i settori sociali e produttivi dell'isola, è ed è sempre stato, una sovrastruttura imposta e, in qualche modo, estranea alla natura e alle caratteristiche della Sardegna e dei suoi abitanti, potrebbe rappresentare una possibile via d'uscita.
Un popolo di un milione e seicentomila persone, con una storia e una cultura identitaria forte, con una mentalità non del tutto assimilata a quella italiana e un sentimento molto diffuso del volersi lasciare alle spalle questa pagina di storia, iniziata tre secoli fa con l'arrivo dei Savoia, potrebbe rappresentare la base ideale per tentare un cambio di passo indispensabile.
Un laboratorio per adottare e implementare un diverso modello sociale, politico ed economico che dia valore al potenziale di una terra unica al centro del Mediterraneo, abitata da gente tradizionalmente laboriosa e volenterosa.
Se si vuol trovare un modello di riferimento da studiare, adattare e poi adottare, un modello che funziona, che ha dato per secoli risultati e continuerà a darne perché, con sempre maggior convinzione e forza, è impegnato a costruire il futuro della propria comunità, è sufficiente guardare alla nazione che capeggia la classifica del Global Talent Competitiveness Index.
Ora non resta che prendere atto che non c'è più tempo da perdere.
O si cambia, o saremo condannati a un futuro sempre più triste !!!
Chi volesse approfondire, o magari se ancora non l'avesse capito, volesse scoprire la nazione n° 1 al mondo, trova il dossier integrale in inglese al link:
http://global-indices.insead.edu/gtci/documents/GTCI2017.pdf
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