
Oggi durante un giro in bici nelle campagne tra Nuraminis e Villasor, tra campi di carciofi, uliveti e vigne, quasi per caso mi sono imbattuto in una immensa installazione di serre fotovoltaiche circondata da cespugli di rose multicolore.
Ho scoperto solo dopo, facendo qualche ricerca sul web, che la Twelve Energy Società Agricola srl aveva realizzato nel 2011 quella che a seconda delle fonti veniva definita la serra fotovoltaica “più grande del Mondo” o “la più grande d’Europa".
In ogni caso una struttura impressionante che si estende su circa 26 ettari, senza un insegna, senza una targa, senza la presenza di anima viva, ma con decine di occhi elettronici di telecamere a vigilare su tutta l'area e sulle strade limitrofe.
In soli quattro mesi, grazie alla joint venture nata tra due colossi multinazionali, l'americana General Electric (nel 2012 secondo Forbes la quarta azienda al mondo) l'indiana Moser Baer Clean Energy (società del gruppo leader mondiale nella produzione di dischi ottici), e a un investimento di circa settanta milioni di euro finanziati in leasing da Intesa San Paolo, sulle 134 serre facenti parte del complesso erano stati montati ben 84.400 pannelli fotovoltaici in grado di produrre 20 MegaWatt e alimentare sino a 10.000 abitazioni con energia pulita "senza immettere in atmosfera ogni anno 25.000 tonnellate di anidride carbonica".
Si trattava di “unire l'agricoltura alla produzione di energia elettrica, creando anche 90 posti di lavoro in una regione, la Sardegna, da anni alle prese con la crisi del mondo industriale” come scriveva allora il Corriere della Sera.
Gli accordi con cooperative agricole locali avrebbero dovuto portare all'assunzione di 90 lavoratori che si sarebbero dovuti occupare della produzione di “dodici colture orticole e floricole, cavolfiore, lattuga lollo, peperone, sedano, radicchio, pomodoro, melanzana, lattuga, finocchio, favino, rose da bacca, rose da reciso” come invece raccontava La Stampa.

Il programma d'investimento prevedeva anche “l'acquisizione di una serie di negozi a immagine coordinata di frutta e verdura in tutta l’Isola, la realizzazione di locali a consumo sul posto, gli accordi di abbinamento del marchio Su Scioffu (dal nome della località nella quale erano sorte le serre) con altre realtà importanti della Sardegna”.
E come affermava Marcello Spano, il sardo che era stato l'autentico deus ex machina dell'operazione, “L’energia fotovoltaica ci permetterà di coprire tutti i costi di gestione e coltivazione. In questo modo, si abbattono i costi e riusciremo a far lavorare con il giusto profitto gli agricoltori, ma soprattutto a offrire un piccolo ma simbolico contributo per invertire una tendenza mal sopportata dai sardi, quella di essere costretti a mettere in tavola ortofrutta proveniente dall’estero”.
Nel novembre del 2011, alla presentazione dell'impianto, come con enfasi descriveva la Nuova Sardegna, era tanto l'orgoglio dei cittadini di Villasor "che hanno fatto la fila per essere presenti al taglio del nastro, come fa un popolo nei giorni di festa. Sono usciti dalle case, per sentir parlare, in inglese con traduzione simultanea, Lalit Kumar Jain, amministratore delegato della «Moser Baer», di dollari, green economy e sviluppo innovativo. Oppure leggere su un foglio le dichiarazioni di Andrew Marsden, responsabile per l'Europa della «General», su «le nostre sfide legate a energia, efficienza e fabbisogno», che «in ogni parte del mondo dobbiamo vincere per lasciare qualcosa d'importante ai nostri figli»”.
E l'assessore regionale all'Agricoltura della Regione Sardegna, Andrea Prato, garantiva “Tranquilli, cittadini, tranquilli. Da voi i pannelli sono stati montati sulle serre e dunque anche le serre dovranno produrre, se indiani e americani vogliono far soldi. Qui non accadrà quello che è successo in Puglia, dove i pannelli sono stati piazzati a terra, là sotto non cresce nulla e poi hanno devastato il territorio”. D'altronde, concludeva il suo articolo il giornalista Umberto Aime “siccome gli indiani sono simpatici e ricchi, bisogna dar loro fiducia”.
Eppure, dopo appena due anni su quella atmosfera solare di festa e di speranza, e soprattutto sui pannelli fotovoltaici nelle campagne di Villasor si addensavano le prime nuvole scure, e non erano nubi temporalesche quelle che facevano ombra.
Infatti a novembre del 2013 si accendevano i fari della Procura di Cagliari a illuminare le serre per vedere chiaro su questo mega insediamento che aveva avuto autorizzazioni a costruire e sostanziose agevolazioni di legge perché l'energia prodotta fosse prevalentemente a utilizzo agricolo. Mentre sembrava che la società indio-americana stesse facendo invece un autentico business industriale nella produzione di energia elettrica, che andava ben oltre le coltivazioni agricole.

Era il Corpo Forestale, su incarico del sostituto procuratore che aveva aperto il fascicolo, che doveva svolgere le indagini per capire se fossero effettivamente state compiute violazioni ambientali e urbanistiche per ciò che poteva apparire come un impianto industriale a tutti gli effetti, camuffato da attività agricola, che mai avrebbe potuto avere le autorizzazioni a costruire e operare.
Mentre le indagini continuavano, nel gennaio 2015 il Corpo Forestale riteneva che la Twelve Energy di Villasor potesse essere colpevole di una truffa da oltre 60 milioni, avendo incassato dal suo avvio oltre 15 e mezzo all'anno tra incentivi statali pagati sul Conto Energia e corrente elettrica immessa nella rete a fronte di una produzione agricola insignificante.
Da parte loro, i legali dell'azienda si difendevano allora sostenendo che invece la produzione era pienamente operativa con “una coltivazione di rose, la cui crescita è seguita da ben 4 cooperative agricole che impegnano una ‘colonia’ di agricoltori sotto la direzione e la supervisione del vivaio Patrucco, principale produttore mondiale del settore”.
A luglio 2015 si arrivava così al sequestro dell'azienda di Su Scioffu, al blocco di oltre 6 milioni e mezzo di euro e all'iscrizione nel registro degli indagati per 6 persone tra le quali, Marcello Spano e quello che era stato descritto come “indiano simpatico e ricco” solo qualche anno prima: Jain Lalit Kumar (43 ) di Nuova Delhi, consigliere d'amministrazione della Twelve Energy.
Per tutti le accuse erano di concorso in truffa aggravata per indebita percezione di erogazioni pubbliche e lottizzazione abusiva.
Nelle serre risultava solo “una coltivazione di rose da bacca allo stato iniziale e dalle prospettive molto incerte”.
Da allora sono trascorsi altri 16 mesi, la situazione dell'azienda (agricola e/o industriale) è quella che ho potuto osservare personalmente e che ho descritto all'inizio. Un'attività che non appare abbandonata, ma nemmeno operativa, circondata da cespugli di rose di cui solo ora capisco il motivo.
Difficile immaginare, per quel che ho visto, una produzione di qualcosa di economicamente significativo oltre a quell'energia elettrica che va ad aumentare il notevole surplus energetico sardo, o anche pensare al lavoro di diverse decine di operai agricoli.
Del sequestro, delle indagini, del simpatico indiano e dei suoi soci, almeno dalla stampa, non si sa più niente.
Rimangono solo l'ennesima delusione e l'amarezza per altre promesse non mantenute, il dubbio se questo sia effettivamente il frutto indigesto di una truffa internazionale ai danni dei Sardi da parte dei predatori di turno oppure, invece, il risultato di leggi poco chiare e colpevolmente suscettibili di molteplici interpretazioni, perché come commentava nel 2015 Mauro Lissia, nel suo articolo sulla Nuova Sardegna, “a leggere gli atti del procedimento si rischia di perdersi in un labirinto di leggi, spesso in contrasto fra loro”.
Rimane, forse, anche quella “Smeralda Green Show”, la rosa “verde” senza spine ideata da Twelve Energy, caratterizzata da una fronda verde e folta, senza spine; viene coltivata in pieno suolo (raggiunge tre metri di altezza) e cresce un centimetro al giorno dopo la raccolta dello stelo. L’innovativa per i suoi rami decorativi (derivati dalla varietà Corallo Eretta™ – Patfru) che non hanno spine e possono essere lavorati facilmente grazie anche alla loro flessibilità” presentata nei giorni scorsi alla manifestazione Orticolario di Villa Erba a Cernobbio.
Una rosa che, nonostante sia senza spine, sicuramente punge e fa male, perché anche questa storia assai poco chiara racchiude in se tutti gli ingredienti tipici del malgoverno, dell’inadeguatezza della politica sarda, della presa in giro dei cittadini e dell’ennesima occasione persa per la Sardegna.
Come le tantissime serre, tradizionali in questo caso, realizzate tanti anni fa, spesso con sovvenzioni pubbliche, ora abbandonate, in rovina e invase dalle erbacce, anche queste viste oggi, durante il mio giro in bici nella fertile pianura del Campidano.
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Cordialità