
Era l'aprile del 1946, ogni casa, ogni capanna, ogni caverna venne esplorata. Fu una lotta senza quartiere. Caddero le alate e l'ecatombe fu clamorosa.
Sterminate le alate e liberate le abitazioni, rimanevano le larve da aggredire.
Sugli stagni, su tutte le acque a lento decorso, su tutte le pozzanghere, si irrorò largamente il disinfettante....
Ebbe inizio esattamente settant'anni fa, nel 1946, la imponente campagna che dopo millenni avrebbe disegnato una Sardegna diversa per i suoi abitanti, sconfiggendo la terribile piaga che ne aveva pesantemente condizionato sino ad allora la vita.
Si trattava di una iniziativa che arrivava dall'estero, con un grande impegno di risorse umane e finanziarie.
La Sardegna era stata scelta come territorio sul quale sperimentare su larga scala, ciò che era già stato testato, con risultati soddisfacenti, solo su territori circoscritti.
Per capire la portata dell'impresa, durata quattro anni, ci possono aiutare alcuni numeri: 32 mila uomini coinvolti, 5 milioni di edifici trattati, con un costo di 1 miliardo di dollari, una somma corrispondente a 7 miliardi di euro ai valori attuali.
I nomi dei finanziatori dell'operazione rivelano la loro origine. Furono la United Nations Relief and Rehabilitation Administration, l’Economic Cooperation Administration e infine la Rockfeller Fundation, che si occupò anche della direzione tecnica.
Protagonista del progetto era il Dicloro-Difenil-Tricloroetano, un composto chimico meglio noto con il suo acronimo DDT e l'obiettivo dichiarato quello di sconfiggere la malaria nell'Isola con l'utilizzo di quel nuovo insetticida per distruggere le zanzare anofele e le sue larve interrompendo così il ciclo biologico del plasmodio della malaria.
In Sardegna la malattia era presente sin dalla notte dei tempi tanto da essere considerata la causa di alcune modificazioni genetiche della popolazione sarda, modificazioni che consistono nella selezione di alcuni geni che conferirebbero un vantaggio per la popolazione che li eredita nei confronti della infestazione malarica.
Queste variazioni genetiche sono rappresentate da modificazioni della membrana dei globuli rossi e sarebbero legate alla presenza tra i Sardi di due malattie genetiche specifiche come talassemia e favismo.
E la presenza della malaria, secondo alcuni arrivata in Sardegna con i Fenici intorno al IX secolo AC, fu proprio alla base del tipo di sviluppo che contraddistinse l'Isola nel corso dei secoli, lontano dal mare e da quelle coste insalubri proprio per la presenza della malattia e con scambi verso l'esterno sempre più ridotti, dopo che per lunghi periodi, secondo la teoria che vuole il popolo Shardana protagonista dei mari e del commercio, i nostri progenitori avevano solcato il Mediterraneo in lungo e in largo.
Tornando a un'epoca più recente, subito dopo la fine della guerra, gli americani avevano valutato come strategica, militarmente, la posizione della Sardegna e sopratutto partendo da quella considerazione nacque l'ingente investimento necessario per debellare la malaria dall'Isola e consentirne lo sfruttamento come "portaerei" statunitense al centro del Mediterraneo.
Al di là di tutte le controindicazioni sanitarie di quel trattamento così radicale, e per molti versi invasivo dato che furono utilizzati ben 5 milioni di litri di DDT, il risultato fu che la malaria venne sconfitta e praticamente scomparve dalla Sardegna (già nel 1950 furono segnalati solo 44 casi di infestazione).
Quella vittoria dopo millenni sulla malattia rappresentò un momento epocale per la Sardegna e per i Sardi che, finalmente, rimosso quell'enorme ostacolo allo sviluppo potevano disporre del potenziale di tutto il territorio e delle coste della loro Isola.
Purtroppo la storia recente ha dimostrato che, almeno sinora, la sconfitta della malaria non è stata sufficiente a garantire uno sviluppo consistente e compiuto della Sardegna e della sua economia.
La malaria, oltre alle mutazioni genetiche di cui si è parlato, e il secolare stato di sudditanza dei Sardi verso altri popoli che in qualche misura ne è stata una delle conseguenze, hanno lasciato nella popolazione dell'Isola una "malattia" ancora presente nell'Isola.
Una "malattia", dalla quale i Sardi solitamente guariscono quando si trasferiscono fuori dall'Isola, che invece a casa li rende disuniti, spesso privi di iniziativa, pronti ad accontentarsi del minimo indispensabile e senza troppa voglia di sforzarsi per emergere, o nei casi più gravi li porta ad abbandonarsi alla più cupa rassegnazione.
Settant'anni fa gli americani, principalmente per i propri interessi, somministrarono alla Sardegna dosi da cavallo di DDT, ottenendo comunque un risultato più che positivo, sconfiggendo una malattia che minava il corpo dei Sardi.
Oggi, per sconfiggere quella grave "malattia" che ne colpisce invece la testa sarebbe indispensabile una diversa cura, sicuramente molto meno impattante dal punto di vista sanitario, ma molto più complessa da far assumere, e con tempi di somministrazione probabilmente molto più lunghi dei 5 anni di allora.
La Sardegna può diventare nuovamente un laboratorio di "sperimentazione" come lo fu per la Rockfeller Foundation, ma la nostra idea parte dall'idea di combattere la malattia con un contagio, un contagio di senso civico, forti dosi di scambi culturali, iniziative sociali e scambi economici e commerciali, e sedute di riabilitazione di politica e di amministrazione pubblica, e oggi come allora sarà una cura fatta palmo a palmo che dovrà raggiungere ogni territorio.
I nostri "medici" non saranno questa volta gli americani e non avranno interessi militari da promuovere, saranno invece gli svizzeri, che hanno già dichiarato tutta la loro disponibilità, e che insieme a noi sardi promuoveranno uno sviluppo sostenibile e una valorizzazione delle risorse della Sardegna.
Naturalmente come per tutte le medicine ci potrà essere chi è intollerante al principio attivo e ci sarà forse anche qualche effetto collaterale negativo, ma il quadro clinico della Sardegna è ormai talmente compromesso da non sembrar lasciare spazio ad ulteriore indugio.
La malaria, con tutte le sue gravi conseguenze, settant'anni dopo è solo un ricordo sbiadito.
Forse i nostri figli e i nostri nipoti tra qualche decina d'anni potranno ricordare vagamente la terribile crisi che attanagliava la Sardegna....
Sta ora a noi decidere se e quando iniziare la cura !!!
"Non sarà dunque, domani, soltanto l'isola pittoresca ove cresce l'oleastro e il corbezzolo, ma sarà la terra promessa di orti e di messi che darà pane e agiatezza non solo ai al 1.600.000 abitanti di oggi, ma a quanti lavoratori vi arriveranno dal continente e dall'estero domani. Vi troveremo domani una razza più gagliarda e più sana ...."
In un reportage dell'epoca, il racconto della lotta alla malaria:
http://www.sardegnaturismo.it/documenti/1_102_20070124154356.pdf
Scrivi commento